ernesto scontento

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Italiani popolo di evasori.

Posted by ernestoscontento su marzo 18, 2007

Post – Pubblicato: Art. Comincia l’Italia. net 19/03/2007

Italiani popolo di evasori.

In Italia solo il 2% dichiara oltre 100.000,00 Euro di reddito, 82% dichiara tra 16.00,00 e 35.000,00 euro, il 16% fra 35.000,00 e 100.000,00 euro.

Mi viene subito da pensare che quelli che dichiarano oltre i 100.000,00 euro sono tutti politici, Manager pubblici, dirigenti ministeriali e consulenti degli enti. Insomma quella piccola minoranza di privilegiati e balzellati dal fisco.

Mentre Raffaele Bonanni vuole un patto antievasione, speriamo a tutto campo anche per chi fa il secondo lavoro ( in nero), infatti in Italia c’è una evasione fiscale di cui non si parla mai….quella del secondo lavoro da parte dei lavoratori dipendenti.

Per Intendersi il famoso Idraulico di Eugenio Scalari quello del suo articolo “ Speriamo che vincano gli ultimi moicani” parodia poi ripetuta alla trasmissione otto e mezzo dell’Annunziata, in quel caso gli evasori erano due, l’idraulico (che esercitava probabilmente come secondo lavoro) e, il cittadino che evadeva pèrchè non si faceva rilasciare la regolare fattura ( come faceva se era un lavoratore in nero?).

Ma veniamo al BUMMM economico, dovuto a quella miriade di imprenditori silenti che, lavorano anche 15 ore al giorno per sbarcare il lunario, perché oggi in Italia per fare l’imprenditore devi essere un uomo di buona volontà e, dotato di santa pazienza.

Infatti, gli imprenditori e i lavoratori dipendenti , lavorano e si igegnano, ma sono i nostri politici che si prendono il merito dell’aumento del PIL e delle relative entrate.

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Sintesi dei commenti da parte del governo:

Prodi: diminuiremo la pressione fiscale

“Il nostro programma e’ stato sfottuto ma lo seguiremo”

Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha repilicato alla Camera:

“La pressione fiscale deve diminuire, diminuirà.

Stiamo articolando nuove misure sulla casa e sulla politica sociale.

Lo faremo sempre nel rispetto dell’obiettivo del risanamento dell’economia”. “Abbiamo cominciato a costruire l’avanzo primario per ridurre il debito pubblico, superiore al pil annuo. L’obiettivo e’ consegnare a fine legislatura un Paese risanato e ad alto livello di sviluppo. La crescita resta infatti l’obiettivo principale del Governo. La ripresa e’ favorita dalle ristrutturazioni attuate”.

PADOA-SCHIOPPA:

TAGLIO DELLE TASSE SE CI SARA’ TAGLIO DELLE SPESE

Il ministro dell’Economia è intervenuto stamane al forum Confcommercio a Cernobbio”Abbiamo vissuto anni eccezionali, possiamo dire che la crescita continuerà.

“non abbiamo mai immaginato condizioni così positive come adesso”

“E’ fortemente auspicabile una riduzione delle imposte per le imprese”

“Se si tagliano baldanzosamente le tasse bisogna tagliare anche le spese”

SOTTO IL 100% IL DEBITO ENTRO LA LEGISLATURA
L’esecutivo conta di raggiungere un debito “sotto il 100 per cento entro questa legislatura”.

STIMOLARE L’OFFERTA PER LA CRESCITA

“Abbiamo superato l’emergenza, ora si tratta di creare la crescita e per farlo non bisogna rafforzare la domanda, ma stimolare l’offerta, tenendo conto che le risorse sono limitate”.
Il ministro dell’ Economia Tommaso Padoa Schioppa. Padoa Schioppa ha ricordato che “il flusso delle entrate di cassa è stato superiore alle attese grazie ad un controllo severo della spesa presente già nella Finanziaria che abbiamo ereditato, ma rafforzato nella nostra”.
Il ministro ha osservato comunque che “l’emergenza è superata ma i conti non sono ancora a posto, perché lo saranno quando il debito pubblico sarà al 60% del Pil”. Un obiettivo questo “non raggiungibile in questa legislatura” che invece si pone come punto di arrivo “un rapporto debito-Pil al 100%”. Gli altri due elementi che potranno far dire che i conti saranno a posto sono “l’equilibrio di bilancio e un avanzo pari a 4-5 punti del Pil”.

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Altri dati da fonti ufficiali:

Dati Ocse: in Italia la pressione fiscale cala al 41% percento. Scende al nono posto( entrate fiscali 2005)

Slitta dall´ ottavo al nono posto l´Italia nella classifica dei paesi Ocse (l´organizzazione che riunisce i paesi industrializzati) per pesantezza del prelievo fiscale. L’Italia raggiunge infatti il 40,50%, dietro Francia, Islanda e Austria e davanti alla Repubblica Ceca. Dai dati raccolti nel volume sulle statistiche delle entrate fiscali 2005 (tributarie e contributive) di 24 paesi, emerge che l´Italia è uno dei paesi in cui il prelievo è più alto, ma in calo dello 0,1% se confrontato col 2004, flessione questa in controtendenza rispetto all’andamento di altri paesi.

Guida la classifica dei paesi Ocse più tassati, la Svezia, dove lo Stato preleva il 51,1%% della ricchezza prodotta, mentre fanalino di coda è il Messico con un peso delle tasse pari appena al 19% (e servizi corrispondenti, cioè assai ridotti).

La quota più consistente delle tasse italiane appartiene ai contributi sociali (il 16,6% del totale)

quelli che dovrebbero essere decurtati dall’intervento del governo Prodi sul cuneo fiscale – mentre negli anni è aumentato il gettito riscosso direttamente dagli enti locali: trent’anni fa solo lo 0,9% finiva nelle casse delle amministrazioni periferiche.

Nell´ ultimo trentennio, è aumentato del 61,4% anche il prelievo delle tasse, passando dal 25,4% del Pil del 1975 al 41,0% dello scorso anno, con un picco massimo toccato nel 1999, l’ anno dell’ entrata nell’ euro, in cui la pressione fiscale ha raggiunto quota 42,5%, per poi scendere progressivamente fino al 41,4%, arrivando, fra incrementi e flessioni, al valore dello scorso anno.

Seppur in sensibile calo, il prelievo fiscale italiano rimane sopra la media europea, pari al 39,7% e ancor più distante dalla pressione fiscale complessiva dei paesi Ocse, che si ferma a quota 35,9%. Nona per pressione fiscale nel 2005, l´Italia si piazza invece al decimo posto nel 2004 per il peso delle tasse in senso stretto, che valgono il 28,5% del Pil, alle quali vanno aggiunti i versamenti contributivi che hanno un valore sociale del 12,5%.

La ripartizione delle tasse è spostata in particolare sui redditi: su di essi lo Stato percepisce il 30,4% dei tributi, seguiti dal 30,3% di contributi versati per la sicurezza sociale e per le pensioni, il 26,4% del prelievo proviene invece dalla vendita di beni e dalla fornitura di servizi (in questo comparto si colloca l’ Iva), mentre il rimanente 6,1% si applica sui patrimoni, ad esempio l’Ici. E proprio in merito agli introiti dovuti alle Amministrazioni locali, la percentuale è passata dallo 0,9% del 1975 al 16,6% del 2005.

Sono nel contempo diminuite, in valore percentuale, le risorse destinate alla previdenza sociale: dal 45,9% del 1975, sono scese al 30,3% nel 2004, mentre non ha mollato la presa l’ Erario statale, che in trent´anni è passato da un incasso del 53,2% ad uno del 52,8%.

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PRESSIONE FISCALE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE ITALIANE dal 1990 al 2005 (in % sul PIL)

LA PRESSIONE FISCALE PUO’ DIMINUIRE DI 4,5 PUNTI DI PIL, PASSANDO DAL 41,8% AL 37,1% DELLA SPAGNA

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La Riflessione:

LA PRESSIONE FISCALE ITALIANA E’ DEL 41,8% DEL PIL, IN IRLANDA IL 32,0%, IN SPAGNA IL 37,1% E NEL REGNO UNITO E’ IL 37,3%

Il problema delle risorse

Fra i molti problemi che la vecchia Europa si trova oggi da affrontare emerge sempre più inquietante il fenomeno dell’aumento sistematico delle spese per la Protezione Sociale (sanità,pensioni, assistenza a lungo termine, scuola, servizi).

In modo coerente con l’ampliamento dei suoi compiti lo stato, secondo la concezione ereditata da Rousseau e influenzata in misura non indifferente dal socialismo, si è affermato come protettore dell’individuo “dalla culla alla tomba” e si è attribuito una percentuale crescente di risorse prelevate attraverso il fisco.

Gli stati e con essi i governi, di destra e di sinistra, anche nei paesi ultimi entrati e a reddito minore, si sono fortemente impegnati in un sistema di garanzie sociali che tendono a coprire le difficoltà maggiori della vita personale e sociale.

Ormai, la pubblica amministrazione è pressoché totalmente assorbita in tale impegno , che dai cittadini è sentito come assolutamente normale e dovuto.

Certamente i cittadini europei possono andare orgogliosi del benessere raggiunto e della sua distribuzione capillare: vivere in Europa vuol dire essere assicurati contro l’ignoranza,la malattia, la vecchiaia e la disoccupazione. Se si guarda al resto del mondo non è poco.

Ma quanto può durare?

Per quanto elevata possa essere la pressione fiscale, oggi essa non è più sufficiente e lo sarà ancor meno negli anni a venire. La preoccupazione dei governi degli stati membri dell’Unione Europea circa la tenuta finanziaria del sistema, è fortissima. Qualcosa deve cambiare per non rinunciare alla concezione di welfare che distingue il nostro continente e la sua civiltà.

Le dimensioni del problema In Italia oltre l’ 80% della spesa per la pubblica amministrazione va in Protezione Sociale(30% in rapporto al PIL ), di esso il 43 % è assorbito dal sistema pensionistico (media europea 33 %, in Irlanda 13% ).

Il Servizio Sanitario del nostro paese è un buon sistema, uno dei migliori al mondo (valutazione OMS 2005 ) a fronte di una percentuale di spesa (8,4% del PIL) inferiore alla media europea, ma tuttavia in continuo inarrestabile trend di crescita ( +3,5% annuo negli ultimi 5 anni).

Il problema è però la sua sostenibilità per la nostra economia: spendiamo molto di più di quanto possiamo permetterci e, se nei prossimi 5 anni si riconfermerà lo stesso trend, raggiungeremo i 10 miliardi di euro, cifra che porterà il nostro sistema vicino all’implosione.

Dal 1978 al 2002 in sanità vigeva un sistema in libera uscita: l’economia nazionale poteva contare su un incremento del debito pubblico per mantenere inalterato il sistema di welfare
anche in condizioni di stagnazione del reddito nazionale. L’avvento dell’Unione Europea ha invece obbligato gli stati a intervenire nel controllo della spesa sociale per garantire l’equilibrio di sistema secondo i parametri imposti dal patto di stabilità.

Il problema è che la situazione demografica, con l’aumento progressivo dell’indice di vecchiaia e la diminuzione della natalità, riduce progressivamente il numero di persone in attività lavorativa e in grado di produrre reddito, a sostegno dell’economia e della fiscalità. Si prevede infatti che nel 2050 in Europa per ogni 2 persone che lavorano ce ne sarà 1 da mantenere, ma già oggi nel nostro paese le persone inattive ( cioè quelle che non lavorano e che lo stato in qualche modo mantiene ) sono oltre il 50% della popolazione ( percentuale di molto superiore ad altri paesi europei a agli Usa ).

A fronte di questa diminuzione di risorse disponibili, l’invecchiamento demografico aumenta la domanda di servizi a carico del welfare per una maggiore proporzione di persone da assistere e di disabili. Infatti, cambia anche l’epidemiologia delle malattie: con una ridotta mortalità per le principali patologie killer si devono assistere più malati cronici.

Questi dati spiegano perché oggi il sistema sanitario nazionale deve necessariamente “fare i conti” con le risorse disponibili, e questo problema interessa non solo gli amministratori ma soprattutto i professionisti, responsabilizzati sulle conseguenze economiche delle loro decisioni.

Le cause:

Oltre alla congiuntura economica, quindi, un basso indice di fertilità, una riduzione della popolazione attiva e l’invecchiamento demografico rendono esplosiva la previsione di spesa per l’assistenza sociale e sanitaria. Una persona oltre i 60 anni ha un consumo di prestazioni
sanitarie 4-5 volte superiore a quello di una persona di età inferiore.

Contestualmente ai problemi elencati emerge con sempre maggior evidenza un dato preoccupante : la perdita del senso del lavoro. Il senso del lavoro da anni è in una crisi profonda : il lavoro non è più il mezzo attraverso cui la persona si realizza , trasforma la realtà
secondo un ideale, collabora alla costruzione del bene comune, ma per i più è diventato un ottuso fardello da portare in cambio di un salario che da solo non basta a dare il gusto di quel che si fa o a suscitare il desiderio di lavorare più a lungo. Si appropria di noi insidiosamente la mentalità del “meglio protetti che liberi”.

Conclusioni

Non c’è vento a favore di chi non conosca il proprio porto è,ovvio che il sistema deve cambiare.

L’Italia ha una pressione fiscale complessiva (imposte dirette, indirette e contributi sociali, in percentuale del Pil) simile alla media dei paesi della UE, più alta di paesi come l’Irlanda, il Regno Unito e la Spagna, ma più bassa di paesi come la Svezia e altri paesi Nordici o il Belgio. Il dato per l’Italia è molto simile a quello della Germania.

Ritenete che la pressione fiscale debba essere strutturalmente ridotta, aumentata o restare sostanzialmente invariata?

Nel caso riteniate che debba essere ridotta, come si dovrebbe finanziare il taglio delle imposte?

Senza politiche pubbliche capaci di incidere sui fattori decisivi della crescita, e senza regole capaci di abbattere rendite e monopoli, la riduzione delle tasse non è capace di generare una crescita solida e duratura.

Inoltre, i tagli fiscali sono positivi solo se vengono colti dai cittadini come permanenti, cioè se sono sostenibili nel tempo, e se davvero aumentano la capacità di acquisto dei cittadini, non generando una riduzione dei servizi a loro disposizione, ovvero un aumento delle tasse e del costo dei servizi degli enti locali.

Per ottenere le risorse disponibili bisogna far pagare il giusto a tutti e non ai soliti noti, lavoratori dipendenti compresi.

Quindi bisogna:

  • -Ridurre le imposte di prelievo, che non debbono superare nel suo complesso il 33% del reddito imponibile,
  • -Liberalizzare il lavoro in tutte le sue forme,
  • -Razionalizzare la spesa pubblica della PA, eliminando le rendite parassitarie e gli sprechi.
  • -Far pagare alle COOP la stessa aliquota che pagano le imprese private (oggi pagano il 50% in meno).
  • -Portare a livelli europei i costi e i contributi alla politica.

SOLO SE LA CLASSE DIRIGENTE SAPRA’ DARE IL BUON ESEMPIO C’E’ LA POSSIAMO FARE.

ALTRIMENTI IL PAESE E’ SEMPLICEMNETE SPECCHIO DI CHI LO GOVERNA.

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Approfondimenti:

Meno Stao.it

Come spendono gli Italiani, indagine di Confcommercio

La Stampa: Aggiornata al 19/03/07

Approfondimenti da Repubblica.it

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