ernesto scontento

“Disapprovo ciò che dici, ma difenderò alla morte il tuo diritto di dirlo ” (Voltaire)

Archive for the ‘Sociologia’ Category

Una società che funziona.

Posted by ernestoscontento su febbraio 15, 2008

Comunità, organizzazioni, sistema politico: una guida per comprendere il mondo contemporaneo

Autori e curatori:Peter F. Drucker

Collana: La società industriale e post-industriale –

Argomenti: Storia economica – Scenari. Innovazione. Gestione delle informazioni. – Scenari, terzo millennio, futuribili, problemi generali

Dati: pp. 240,1a edizione 2003 (Cod.1481.90)

Una guida per comprendere il mondo contemporaneo alla luce della storia socio-economica e politica. Una lezione del maestro dei maestri degli imprenditori, dirigenti e professional.

“Peter Drucker è un’illuminazione, per la chiarezza del suo pensiero e del suo modo di scrivere. In questo libro dimostra chiaramente che politica, economia, società e management sono meglio capiti insieme, non separatamente” (B. Emmott, editor, The Economist ).

Peter Drucker è conosciuto soprattutto come uno dei maggiori scrittori di management ma il management non è stato né il primo né il suo principale interesse.

I suoi interessi primari sono la comunità, in cui l’individuo ha status , e la società, in cui l’individuo ha funzione. È indubbio, per la complessità delle variabili in gioco e la difficoltà di definire scenari, che la considerazione del contesto in cui viviamo e delle sue possibili future evoluzioni sia oggi essenziale per decidere le strategie comportamentali di ciascuno di noi.

Questo libro presenta un quadro completo del pensiero di Drucker su comunità, società e struttura politica e costituisce non solo l’introduzione ideale alle sue idee su come costruire una società che funzioni ma anche uno strumento utilissimo per una riflessione sulle scelte che ognuno di noi deve fare.

Il volume è diviso in sette parti. Inizia con un’analisi delle basi su cui si fonda la società moderna, a partire dalla rivoluzione francese. Passa quindi a considerare come mai dall’illuminismo e dal liberalismo si è così spesso giunti a regimi totalitari. Approfondisce poi i mali dello Stato, aggravati dal passaggio dallo Stato nazionale al Megastato.

Analizza il nuovo pluralismo e la società delle organizzazioni e approfondisce i nuovi ruoli della grande impresa come istituzione sociale e politica. Introduce, quindi, la nuova visione del mondo, con il passaggio dal capitalismo alla knowledge society e dall’informazione alla comunicazione. Conclude infine dando un quadro particolarmente approfondito della prossima società.

Un testo da non perdere, da cui – qualsiasi siano le vostre idee – potrete ricavare stimoli, insegnamenti, considerazioni utili per il vostro futuro.

Indice:

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L’Italia? Una federazione di famiglie.

Posted by ernestoscontento su gennaio 21, 2008

Vi invito alla lettura di questo interessante articolo del sociologo Carlo Gambrescia


Mai come in questi giorni si può avvertire la gravità della crisi italiana. Apertasi “ufficialmente” nel 1992-1994, ma tuttora in atto. In realtà proprio questa lunghezza, dovrebbe far riflettere sulle sue ragioni strutturali.

Sappiamo di prenderla da lontano, e magari annoiare il lettore, ma non possiamo farne a meno. Dal momento che alle origini della crisi attuale ci sono cause storiche e sociologiche. E ne vanno ricordate almeno tre.

In primo luogo, in Italia l’idea repubblicana come religione civile, non mai stata “socializzata politicamente” a livello di massa. Ma lo stesso discorso vale anche per la tradizione monarchica e perfino fascista (la più breve delle tre). Si tratta di una mancanza di affezione sociale alle istituzioni, legata al tardivo conseguimento dell’unità nazionale, avvenuto senza adeguata partecipazione popolare.
Stato e Patria non sono perciò mai entrati nel cuore degli italiani, per usare un’espressione letteraria. Fin dall’epoca post-unitaria gli italiani hanno visto nello Stato e nella Patria solo il Poliziotto, il Soldato, l’Esattore Delle Imposte (figure, del resto, spesso schierate con i ceti socialmente privilegiati). E mai “istituzioni” preposte al buongoverno.

Ancora oggi, come emerge dai sondaggi, il primo valore resta la famiglia, ma in senso particolaristico (“prima noi, poi lo Stato”). E perciò si può parlare di un familiarismo diffuso a livello nazionale e venuto a patti con certa modernità tipicamente italiana. Dopo di che, per l’ ”italiano medio” seguono nelle preferenze: le reti amicali e professionali (amici, colleghi e clienti), E attenzione, sono atteggiamenti e comportamenti molto diffusi anche all’interno della stessa classe dirigente politica ed economica dominante. Sempre a caccia di “rendite”, spesso immeritate, per se stessi e per i propri familiari e sodali. Rendite ovviamente collegate alle posizioni di potere conseguite. Pertanto il caso Mastella non sarà l’ultimo, di un pur già lunga serie di casi simili.

Su questo parassitismo politico-familiaristico Miglio ha scritto pagine acutissime e documentate, alle quali rinviamo. Quanto all’economia, risulta perfino banale ricordare, che per il capitalismo italiano, gli studiosi hanno coniato il termine di “capitalismo familiare”.

In secondo luogo, come abbiamo già accennato, sul piano locale, anche dove è presente una certa tradizione civica, sono tuttora esclusivamente attive, come strumento di cooptazione politica ed economica, le rete familiari, amicali e professionali: per parenti, amici e colleghi, soprattutto se socialmente cospicui, le “istituzioni” (dai partiti alle banche) continuano ad avere un occhio di riguardo. Il che potrebbe anche essere comprensibile nella gestione di realtà comunali minori, segnate dal faccia a faccia comunitario. Ma non accettabile nelle aree dove le tradizioni civiche sono più deboli, come ad esempio nel Mezzogiorno (terra segnata, secondo un certa tradizione sociologica, da un familismo amorale, addirittura di tipo premoderno, mai venuto a patti con la modernità). E dove l’assenza di un solido tessuto civile continua a facilitare le infiltrazioni di tipo criminale.

Promosse da organizzazioni che spesso si muovono su basi addirittura claniche e di antica data. Ancora peggio, quando si passa a livello di Regione e Stato centrale, dove il familiarismo e il clientelismo politico (quest’ultimo consiste nell’estensione della logica fiduciaria familiare al partito politico, spesso anche in senso letterale), impediscono “strutturalmente” di gestire l’amministrazione pubblica e di governo in termini di efficienza, correttezza ed eguaglianza di accesso alle prestazioni. Alimentando negli esclusi uno spirito di rivalsa verso le istituzioni, contrastante con lo sviluppo di qualsiasi senso civico. Dal momento, come si è detto, che lo Stato è visto, almeno far tempo dell’unità italiana, come entità estranea ed eventualmente come dispensatore di favori economici e politici.

In terzo luogo, il sistema dei partiti privo di salde saldi radici rivoluzionarie (come nell’esperienza francese) o di consolidate tradizioni parlamentari (come nell’esperienza britannica) si è praticamente adattato a questa logica familiaristico-clientelare, introducendola in un contesto moderno come finalità: la democrazia rappresentativa, il mercato, lo sviluppo, il progresso. Ma segnato dal punto di vista dei mezzi dall’accettazione di tale logica come “normale” strumento organizzativo e di potere. Il termine non ci piace, ma non si può non parlare di modernizzazione compromissoria.
Il che nelle aree a rischio, produce tuttora pericolose commistioni tra politica e criminalità comune. Mentre nelle altre aree, politicamente meno immature, se ci si passa l’espressione, provoca ancora oggi, immorali matrimoni di interesse tra partiti e capitalismo familiare. E qui, purtroppo c’è un filo rosso che va dallo scandalo della Banca Romana (1892-1894) a quello della Parmalat 2003-2004).
In un quadro del genere, segnato dalla logica familiaristico-clientelare come abitudine collettiva, è difficile suggerire vie d’uscita. Può sembrare perfino banale, ma in Italia la prima cosa a cui spesso si pensa prima di iniziare una qualsiasi azione di contenuto sociale (la ricerca di un lavoro, la prenotazione di una visita medica specialistica, la richiesta di un passaporto, un prestito bancario, eccetera) è trovare una “raccomandazione” nel giro dei parenti, amici, conoscenti, eccetera.

Va inoltre considerato che attualmente la cosiddetta globalizzazione economica tende a dissolvere, in misura crescente, i legami tra cittadino e stato-nazione, persino dove sono ancora ben saldi. Di conseguenza per “l’italiano medio”, ancora oggi così poco “nazionalizzato” e “statualizzato” (se ci passa le brutte espressioni…), in futuro sarà sempre più difficile “socializzare politicamente” i valori di patria, rispetto civico e di buon governo.

E così gli italiani rischiano di trasformarsi in cittadini del mondo… Ma anche qui in modo molto particolare, seguendo la propria “specializzazione”: esportando stilisti, prodotti di lusso e criminalità, su basi rigorosamente familiaristiche. Con il rischio di scivolare lentamente verso la frammentazione politica pre-unitaria. Anche perché l’Unione Europea è considerata dagli italiani come un pura e semplice appendice economica.

Inoltre questo progressivo processo di “denazionalizzazione” e “destatualizzazione”(altre brutte espressioni) potrebbe addirittura rendere in termini economici troppo costoso il mantenimento di una classe politica autoctona. E spingere, suo malgrado, il capitalismo familiare italiano a puntare per la “sicurezza” interna ed esterna su partner politici stranieri, magari anglo-americani (perché ritenuti più dinamici e sicuri sul piano organizzativo). Fino al punto – ecco il rischio più grande – di considerare superate e costose le elezioni politiche. E non è “fantapolitica”, perché dietro le attuali violente polemiche confindustriali sulle “caste” politiche si scorge un progetto del genere.

In questo modo l’Italia rischia di tornare ad essere ciò che era nell’Alto Medioevo: una federazione di famiglie. E non è una battuta.

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Egemonia politica

Posted by ernestoscontento su novembre 9, 2007

La rete è come la piazza di Atene, dove discutevano della POLIS, ma dove non si decidevano le leggi, solo nell’agorà  si discuteva dei problemi della polis e i demos trasformavano le loro decisioni in legge.

VACLAV BELOHRADSKY

Breve definizioni della parola egemonia su cui si fonda la politica.

Con il termine egemonia indico semplicemente il fatto che l’esercizio del potere deve essere inquadrato nel contesto di ciò che la gente considera “normale” o “naturale”, “dettato dal senso comune” o “ispirato ai valori universali”; l’egemonia politica è questo quadro di normalità dell’esercizio del potere politico.

Esso verte sul fatto che una classe dirigente, un’elite o un gruppo dirigente ed i suoi alleati riesce a presentare i propri interessi come rappresentativi di tutta la società.

Con i concetti e i valori egemonici, con ciò che la gente considera “normale” ci scontriamo molto spesso ed in un’infinità di modi, anche se partecipiamo solo raramente alle competizioni per il potere politico nelle sue forme istituzionali.

Il tratto caratteristico delle egemonie politiche è appunto il fatto che esse si reggono sulle parole che non vengono percepite come politiche, sulle parole come bene, bellezza, verità, giustizia, igiene, la cura del corpo, le feste ecc.

Chi vuole sfidare un’egemonia politica, politicizza anzitutto queste parole neutrali, mostra ad esempio che il nostro rapporto con il proprio corpo non è mai impolitico, ma imposto da una lunga egemonia politica, che il concetto di bene o di verità sono asserviti ai punti di vista e agli interessi delle classi dominanti.

Il potere politico egemonico dunque controlla il confine tra quello che deve essere considerato come non politico, soprapolitico, normale, morale, naturale, oggettivo, bello ecc. e quello che invece deve essere considerato come politico.

Il punto di vista egemonico trasforma facilmente l’opposizione in malattia mentale, l’atto di protesta in crimine, l’anticonformismo in offesa del come senso di pudore, i valori minoritari in peccato, la critica in tradimento, la previsione razionale in minaccia intollerabile per lo sviluppo della società.

E’ stato Gramsci a dare alla parola egemonia un senso specifico di “capacità di direzione della società” fondata sulla convinzione delle masse che i valori difesi da un gruppo egemonico sono valori universali.

Il potere politico assieme a tutte le altre forme di potere e d’autorità nella società deve essere sempre sostenuto, per essere efficace, da un’egemonia.

Naturalmente vi possono essere dei poteri senza egemonia – dittature o regimi imposti dall’occupante,o egemonie senza potere, ad esempio la presunta egemonia culturale dei comunisti in Italia negli anni Sessanta e Settanta.

Nella lunga durata comunque prevale il potere che rappresenta una reale egemonia di un blocco storico di interessi.

Le egemonie si svuotano quando cessano di essere attuali.

Ora la parola attualità è oggi banalizzata, significa “notizia del giorno”. In realtà questa è una delle parole fondative della civiltà occidentale, indica infatti la forza che rende il futuro molto diverso dal passato.

Il modello di questa visione del tempo è il vangelo – la buona novella, la rivelazione che il futuro degli uomini sarà diverso dal passato, nuovo.

Oggi non è la rivelazione, ma la tecnoscienza a rendere il futuro
radicalmente diverso dal passato costringendo la società nel suo insieme ad adattarsi a ritmi e possibilità nuove.

Ogni egemonia è legata all’attualità, alla capacità dei gruppi dirigenti di far fronte all’attualità nel senso di controllare o governare quel fattore che di volta in volta rende il futuro radicalmente diverso dal passato, pensiamo ad esempio alla new economy promossa da Internet o alle biotecnologie.

Diventa “portatore di un’egemonia alternativa” quel gruppo che riesce a rappresentare l’attualità, a convincere gli elettori di saper governare la minacciosa differenza tra il passato e il futuro che costringe la maggioranza dei cittadini a ridefinire i loro progetti di vita.

La soluzione politica: includere gli stranieri culturali nella comunità dei cittadini

Questa definizione politicizzata del conflitto, che è in contraddizione profonda con il quadro storico ed istituzionale della situazione, pretende che l’identità più inclusiva ed universalistica in Europa, quella cattolica, serva per puntellare un’identità deficitaria, poco universalistica, e in ogni caso molto meno inclusiva di quella cattolica, l’identità nazionale italiana.

Il Cristianesimo, nella sua versione cattolica, non coincide con il potere di nessuno Stato, con nessuna identità nazionale, an initio aspira ad includere tutti coloro che “credono nel Dio deicristiani”; l’identità nazionale italiana è un fatto politico, strettamente limitato dall’appartenenza, in qualità di cittadino, ad uno Stato e ad una competenza linguistica.

L’integrazione effettiva delle masse multireligiose di immigrati nello Stato italiano e nella cultura nazionale italiana, è possibile solamente a condizione che l’identità nazionale non venga definita né etnicamente né religiosamente, ma in riferimento alla Costituzione.

Definire politicamente l’identità italiana significa in primo luogo prendere a suo fondamento il rispetto condiviso della Costituzione. In secondo luogo, tutti i cittadini debbono avere l’accesso effettivo ad uno spazio pubblico determinato linguisticamente, condividere una cultura civica e avere una competenza civilizzazionale.

Gian Enrico Rusconi (La Stampa 1/11/2003) commenta questo conflitto distorto sostenendo che la stragrande maggioranza di politici italiani si dichiara esplicitamente cristiana “preoccupandosi di precisare che non si tratta di una dichiarazione di fede in senso dottrinario, ma
di un’identità storica, di un’appartenenza nazionale…(invece) avrebbero dovuto protestare contro un uso etno-nazionale della religione, avrebbero dovuto dire chiaramente che nella questione del Crocifisso in un’aula della scuola pubblica non sono in gioco né l’identità nazionale né l’ultimo baluardo contro l’incombente invasione dell’Islam”.

Il fatto che invece sono in gioco, è un fatto centrale di questo campo politico distorto.

Giovanni Sartori, pone la questione del rapporto tra l’universalismo democratico e le politiche d’integrazione degli “stranieri culturali” immigrati in questi termini: “la domanda è: fino a che punto una tolleranza pluralistica si deve piegare non solo a stranieri culturali ma anche ad aperti e aggressivi nemici culturali? Insomma, può il pluralismo accettare la propria frantumazione, la rottura della comunità pluralistica? (1997,492).

La comunità pluralistica è caratterizzata dal fatto che le linee divisorie tra i gruppi sonomultiple, basate su associazioni volontarie che non coincidono con le divisioni razziali, regionali,religiose o sociali.

Laddove invece coincidono, e dove questa coincidenza è elevata a fonte suprema di legittimità del potere politico, vengono a mancare le basi di una coesistenza pacifica tra i “diversi”, le linee di divisione si irrigidiscono e tutta la comunità pluralistica crolla.

La convivenza pacifica è impossibile nelle comunità chiuse che impongono di sommare le linee di divisione (chi è cinese in Indonesia deve essere cattolico, chi è irlandese in Irlanda deve essere cattolico, chi è bianco deve essere protestante, chi è italiano deve essere cattolico, chi è Padano deve parlare il dialetto ecc.).

La trasformazione dell’EU da un’alleanza stabile di Stati nazionali in una res publica, fondata su una Costituzione europea e su una cittadinanza europea garantita da una legalità cogente e universalistica, è la precondizione della capacità dei paesi europei di integrare gli extracomunitari”.

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Dentro i DS

Posted by ernestoscontento su ottobre 22, 2007

Interessante Paper di Rosa Mulé, che conduce un sondaggio fra gli iscritti dei DS e RC.

Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia Bologna University

Mutamenti nella democrazia infrapartitica: dalla teoria ai dati e ritorno. Analisi di un sondaggio agli iscritti DS e RC

Il Paper analizza il grado di soddisfacimento della base sociale nei confronti dei Leader, democratizzione del partito e altri dati.

pdfPaper file pdf

Inoltre in questi giorni è uscito sempre di Rosa Mulé, il sggio “Dentro i DS Eiditore il Mulino”

Breve Descrizione del saggio dal sito dell’editore:

Dalla svolta della Bolognina il maggiore partito della sinistra italiana è profondamente cambiato.

L’organizzazione si è progressivamente alleggerita: negli ultimi venti anni il numero delle strutture periferiche si è dimezzato e la loro attività di proselitismo è molto diminuita.

Gli iscritti al solo Pds/Ds sono in media più giovani, con un’istruzione di livello superiore e un’appartenenza più labile in termini di classe sociale e di tradizione familiare.

A fronte di questi cambiamenti, il riorientamento ideologico in senso riformista operato dai leader a partire dai primi anni ’90 non ha convinto la maggioranza degli iscritti.

Nella cultura politica degli aderenti ai Ds predominano elementi di tradizionalismo e conservatorismo, che si esprimono in una forte condanna del capitalismo e degli Usa come potenza imperialista.

Inaspettatamente, sono i giovani a reclamare la riaffermazione di una certa purezza dottrinaria, mentre coloro che provengono dal Pci sono meno disposti a sacrificare la vittoria elettorale sull’altare dell’ideologia.

Questa prima inchiesta nazionale sugli aderenti ai Democratici di sinistra mostra una difficile sedimentazione di culture diverse, insieme a stridenti contraddizioni tra innovazione e continuità.

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Dal Paper e dal saggio probabilmente emerge anche una lettura del voto delle primarie, ma di sicuro emerge una differenza di vedute fra i leader e la base sociale soprattutto più giovane.

Weltroni ne dovrà tenere di conto.

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L’Europa nell’età globale

Posted by ernestoscontento su agosto 5, 2007

In breve
Il modello sociale europeo – il suo sistema di welfare e di protezione sociale –, considerato da molti il fiore all’occhiello del Vecchio Continente, è entrato in grave sofferenza in molti Stati dell’Unione. La sua riforma è una questione urgente insieme alla necessità di riavviare la crescita economica. I paesi europei che hanno registrato i risultati peggiori hanno molto da imparare da quegli Stati che hanno saputo gestire in modo più efficace le nuove sfide.
Di fronte all’impatto della globalizzazione, bisogna affrontare cambiamenti radicali: la trasformazione dello stile di vita deve entrare a pieno titolo nella definizione di welfare e le problematiche ambientali devono essere messe in rapporto diretto con gli altri doveri del cittadino. Anthony Giddens, le cui opere hanno ridisegnato il pensiero sociale e politico degli ultimi decenni, in questo nuovo, importante saggio indica la strada da seguire.

Indice
Prefazione – 1. Il modello sociale – 2. Cambiamento e innovazione in Europa – 3. Giustizia sociale e divisioni sociali – 4. Dal welfare negativo al welfare positivo – 5. Cambiamento dello stile di vita – 6. A livello comunitario – 7. Otto tesi sul futuro dell’Europa – Appendice. Lettera aperta sul futuro dell’Europa – Note – Glossario – Indice analitico

Gli scopi di questo volume sono molteplici.

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Italia : L’affluenza alle urne

Posted by ernestoscontento su Maggio 28, 2007

La Greppia

Manifesto del PCI del 1953.

Articolo Pubblicato su : RESET – La libera voce della società civile Italiana

Una cosa è certa che questa classe politica è la peggiore della storia dell’Italia Repubblicana:

Da una parte c’è il nuovo, con un Prodi che sempre di più si ricorda di essere un ex Democristiano, accetta il compromesso sempre e comunque basta rimanere sulla seggiola.

La politica è concepita come potere e non come valore.

Dall’altra parte ci sono gli ex comunisti, che sono ancora confusi nella loro transizione fra il passato e il futuro.

Il tutto in un’Italia che come nel 1953 era diventata La Greppia degli affaristi di stato.

L’Italia sembra sempre di più un paese a Democrazia inesistente,la Democrazia è tale se c’è il coinvolgimento del popolo.

Ma oggi il popolo è deluso, da una classe dirigente sempre più arrogante e prepotente, sempre più infastidita dalle critiche che vengono dall’unico corpo che ne a titolo “ il Popolo”.

La critica loro la chiamano antipolitica…..

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Avere o essere?

Posted by ernestoscontento su Maggio 10, 2007

Articolo Pubblicato su : RESET – La libera voce della società civile Italiana

Note di Copertina
Dicendo essere o avere non mi riferisco a certe qualità a sé stanti di un soggetto… Mi riferisco, al contrario, a due fondamentali modalità di esistenza, a due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo, a due diversi tipi di struttura caratteriale, la rispettiva preminenza dei quali determina la totalità dei pensieri, sentimenti e azioni di una persona.” Ed è la prevalenza della modalità esistenziale dell’avere che per Fromm ha determinato la situazione dell’uomo contemporaneo, ridotto a ingranaggio della macchina burocratica, manipolato nei gusti, nelle opinioni, nei sentimenti dai governi, dall’industria, dai mass media, costretto a vivere in un ambiente degradato con lo spettro incombente del conflitto nucleare. Fromm delinea quindi le caratteristiche di un’esistenza incentrata sulla modalità dell’essere, in quanto attività autenticamente produttiva e creativa, che offra all’individuo e alla società la possibilità di realizzare un nuovo e più autentico umanesimo.

Dall’anticipazione:
Contro la brama del possesso, contro l’avidità del potere, lo spreco, la violenza, la prospettiva di un diverso atteggiamento verso la natura e la società, basato sull’altruismo e sull’amore. L’opera più significativa di Erich Fromm (1900-80).

Indice – Sommario

Erich Fromm (Biografia, Opere)

Prefazione

I. Come comprendere la differenza tra avere ed essere
II. Analisi delle differenze fondamentali tra le due modalità esistenziali
III. L’uomo nuovo e la nuova società

Bibliografia
Indice

L’AUTORE

Fromm nasce in Germania nel 1900. E’ di origini ebraiche, pertanto dovrà emigrare in America (a causa delle leggi razziali del regime nazista), dove vivrà per gran parte della sua vita e comporrà quasi tutte le sue opere.

Laureato in filosofia a 22 anni, frequentò uno dei più prestigiosi istituti berlinesi di psicologia e ottenne la facoltà di esercitare tale professione.
Fu da subito un innovatore, in quanto mischiava nel suo pensiero, in modo ardito e tuttavia congruente, personalità quali Freud e Marx, senza averne mai riverenza incondizionata, ma anzi arricchendone e criticandone molti punti di vista.

Uno dei punti cardine della sua filosofia era proprio la divisione netta tra le due modalità possibili di esistenza umana: quella dell’avere e quella dell’essere.

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La lettura risulta scorrevole e gradevole, impegnativa ovviamente ma mai pesante.

Pur essendo scritto nel 1976, lo stile si nota non attuale ma ciò non importa: risulta comunque comprensibile e svelto, mai superficiale e comunque capace di visualizzare con poche righe un’intero aspetto di ogni argomento.

Ogni considerazione porta a mille riflessioni, ogni singola frase può essere osannata o criticata, ma comunque non lascia mai indifferenti.
Leggendolo con attenzione, ci si accorge di come questo libro sia una fonte inesauribile di pensieri e riflessioni di ogni tipo.

Fromm non lesina citazioni di ogni tipo, da filosofi greci, a storici, economisti, psicologi, sociologi e politici. Una miniera di punti di vista, di opinioni e, in fin dei conti, di possibili spunti per riflessioni di ampissimo spettro.

Avere o essere?
E’questo l’interrogativo che bisogna porsi: “cos’è l’uomo?”.

La funzione della nuova società è di incoraggiare il sorgere di un uomo nuovo, la cui struttura caratteriale abbia le seguenti qualità: Disponibilità a rinunciare a tutte le forme di avere per essere senza residui…

Larga parte della nostra società sembra aver fatto propria la pulsione del possedere, a qualsiasi costo, dell’accumulare, del depredare. La storia di noi occidentali è legata indissolubilmente alla violenza.

Ciò è vero anche e soprattutto per la società italiana, con la smania, ben descritta letterariamente, nei romanzi di Verga per esempio, per la proprietà, per la roba.
Fromm, riprendendo invece varie correnti religiose e filosofiche, si schiera dalla parte dell’essere, forse in modo eccessivamente unilaterale, visto che l’esistenza non è possibile escludendo totalmente l’avere.

Ed è altrettanto importante che l’uomo da essere che possiede divenga un essere produttivo e creativo per cercare di rendere migliore la società in cui vive.

Era questa la domanda che si pose il grande filosofo Erich Fromm.
Una domanda che , nonostante siano trascorsi trent’anni dalla pubblicazione di questo saggio, risulta attualissima nel nostro panorama economico-sociale:avere o essere?
Fromm concepisce l’essere e l’avere non come “certe qualità a sè stanti di un soggetto”, bensì come “due fondamentali modalità di esistenza, come due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo”.
Il filosofo nel suo saggio analizza queste due modalità esistenziali:
L’avere è tipico della società capitalistica dei consumi, costruita sulla proprietà privata, che porta l’uomo ad identificarsi con il suo profitto, con ciò che possiede; in poche parole, se non possiedo niente, la mia esistenza viene negata.
Ma è proprio questa condizione in cui l’uomo da un lato possiede le cose, ma dall’altro è lui stesso ad essere posseduto da esse; l’essere è invece la condizione della realizzazione dei bisogni più profondi dell’uomo, ed ha come presupposto la libertà e l’autonomia che finalizza gli sforzi alla crescita e all’arricchimento della propria interiorità.

Pertanto l’uomo che si riconosce nel modello esistenziale dell’essere non è più alienato, ma è protagonista della propria vita e stabilisce rapporti di pace e di solidarietà con gli altri.

Il modello che Fromm propone è quest’ultimo, quello dell’essere, riconosciuta come l’unica attività creatrice, capace di mutare la condizione dell’uomo incentrata sulla manipolazione dei suoi gusti, delle sue opinioni, e dei suoi sentimenti.

Oggi più che mai l’interrogativo posto da Fromm va visto con attenzione ed analizzato nella società in cui viviamo: quale è il carattere dell’uomo contemporaneo?
E’ mutata la situazione rispetto ai termini con cui ne parla va Fromm?

Questo è sicuramente un quesito molto complesso; tuttavia oggi l’uomo è per lo più influenzato nei suoi giudizi e nei suoi gusti dai mass media, i suoi sentimenti sono condizionati, e il possedere si identifica con la sua stessa esistenza: la possibilità di comunicare tramite le nuove tecnologie con qualunque persona di tutto il mondo, la velocità con cui si “muove” il globo oggi, rendono apparentemente l’essere umano superpotente.
Ma chi è veramente l’uomo?

In un’epoca in cui è dominante il relativismo, quali sono i caratteri interiori di ciascuno di noi, del notro giardino segreto, della nostra essenza.Sarà forse che la nostra esistenza si è identificata con l’avere?

E’ questo l’interrogativo che bisogna porsi: “che cos’è l’uomo?”.

Ed è altrettanto importante che l’uomo da essere che possiede divenga un essere produttivo e creativo per cercare di rendere migliore la società in cui vive.

Ed è proprio per questo motivo che saggi come “Avere o essere” andrebbero letti con attenzione , in quanto costituiscono la materia di riflessione sulla nostra società.

Il libro mette in luce il salutare dubbio che la felicità e la realizzazione personali possano essere raggiunte percorrendo strade diverse.

Nella parte finale vi sono proposte le ipotesi, ed è forse la parte che risente maggiormente del passare degli anni; ma, pensandoci bene, questo può essere solo perchè le sue previsioni più pessimistiche si stanno avverando…

Questo è uno dei più bei libri di Erich Fromm. Penso che sia un testo di argomentazione universale: abbraccia la filosofia, soprattutto, ma anche la sociologia, la religione, la quotidianità. Un libro da leggere e da avere.

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Intervista a Erich Fromm

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La società sotto assedio e, portatrice di una vita liquida

Posted by ernestoscontento su febbraio 7, 2007

Zygmunt Bauman è uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. Professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Tra le sue opere in italiano Modernità e olocausto (Bologna 1992), Il teatro dell’immortalità. Mortalità, immortalità e altre strategie di vita (Bologna 1995), Le sfide dell’etica (Milano 1996) e Il disagio della postmodernità (Milano 2002).
Di seguito riporto una piccola recensione di alcuni sui libri, che sono come dei fari indispensabili per muoversi nella società contemporanea.

La società sotto assedio :

Riaffermare il dominio del mercato, rotto tutti i legami che la tenevano unita. Sono finiti i partiti politici e sono in crisi le associazioni, sono più deboli i nostri vincoli con la comunità religiosa e perfino i legami matrimoniali e familiari sono più labili. Sedotto dalla pubblicità e da potenti modelli televisivi, l’individuo è solo di fronte al mondo globale. In teoria può collegarsi sempre e dovunque con tutti. In pratica, i suoi contatti sono momentanei, sempre reversibili e mai duraturi. Zygmunt Bauman è professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia e uno dei sociologi più conosciuti a livello internazionale.
Esiste ancora la società nel senso tradizionale del termine, ovvero: vicinanza, prossimità, aggregazione, legami reciproci tra le persone? Siamo soli, in ansia cronica, ipercompetitivi. Siamo sotto assedio. Lo scrive Bauman nel suo splendido libro: poco sociologico in senso tradizionale, coinvolgente, caldo.

La Modernità Liquida:

Modernità liquida, del sociologo polacco Zygmunt Bauman, è un testo interessante che propone un’analisi chiara e puntuale dei cambiamenti che stanno attraversando le nostre società all’inizio del nuovo secolo.

Le due domande, che l’autore rivolge al lettore, possono servirci da introduzione a questo lavoro; innanzi tutto egli si chiede che cosa sia la modernità e quali siano i tratti caratterizzanti che la distinguono, come epoca storica, da quelle precedenti. La risposta a questo primo quesito riguarda il mutato rapporto tra lo spazio ed il tempo: “Il tempo acquisisce una storia allorché la velocità di movimento nello spazio diventa una questione di ingegno” (p. XV). Nel rapporto tra lo spazio ed il tempo, lo spazio rappresenta il lato solido e stolido, e dunque pesante della medaglia, mentre il tempo rappresenta il lato fluido, dinamico e sempre cangiante di tale rapporto. Vedremo tra poco come il tempo diventerà, nella nostra epoca liquida, l’aspetto più importate dei cambiamenti in corso.
La seconda domanda ci porta direttamente al cuore delle tematiche trattate in questo libro, e dunque la questione posta da Z.Bauman suona così: “la modernità non fu forse fin dall’inizio un processo di liquefazione?” (p. VII). Attraverso questa seconda domanda è possibile considerare la storia della modernità come un lungo processo di liquefazione continua di tutti quei corpi solidi che le società avevano precedentemente costruito.
Se consideriamo la modernità attraverso lo sguardo rivoltole da autori quali M. Weber, A.De Tocqueville scopriamo infatti che uno dei compiti assegnati alla modernità fu quello di “fondere i corpi solidi” per costruire una società più stabile e duratura; i primi corpi solidi ad essere liquefatti furono in generale gli obblighi etici e religiosi che caratterizzavano e tenevano unite invece le società pre-moderne. In questa fase di liquefazione l’unico rapporto sociale che resistette al cambiamento fu il rapporto di classe e dunque, da questo momento in poi, un nuovo tipo di razionalità prese la guida della società, e ciò lo possiamo descrivere marxianamente come il primato dell’economia intesa come razionalità che governa tutte le altre vicende umane e sociali.
L’immagine che più di ogni altra esemplifica questa prima fase della modernità è, secondo l’autore, il Panopticon, questo luogo inventato da J. Bentham e ripreso da M.Foucault, nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal potere, potere che poteva contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per tenere sotto controllo i propri sudditi: “ Il dominio del tempo era l’arma segreta del potere dei leader” (p. XVI). Un’altra immagine può chiarire, tra le tante, cosa abbia significato il potere di controllo sul tempo: la fabbrica fordista con la sua standardizzazione del tempo di lavoro nella catena di montaggio.
Questo modello di relazione tra controllori e controllati comportava il reciproco coinvolgimento tra gli attori in campo e di fatto inchiodava il potere allo stesso suolo dove i controllati svolgevano le proprie attività.
Nella nostra fase di modernità, che l’autore definisce liquida, il modello panottico e tutte le strutture sociali ad esso collegate è definitivamente entrato in crisi e, liquefacendosi, ha aperto una nuova fase della storia umana che da molti è stata interpretata come fine della storia o come fine della modernità, ma che l’autore definisce preliminarmente come post-panottica; essa tuttavia esibisce ancora il tratto caratteristico della modernità, ossia la sempre inarrestabile spinta alla modernizzazione. Questa fase di liquidità attraversa aspetti importanti della nostra vita sociale come ad esempio il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio ed il tempo, ed infine, ma non ultimo in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata di emancipazione.

Vita Liquida:

«Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida…»: una metafora per descrivere la fase attuale della nostra modernità che suona a epitaffio di un modo stabilizzato e rassicurante di sentirsi nel mondo.
Stress, consumismo ossessivo, paura sociale e individuale, città alienanti, legami fragili e mutevoli: il mondo in cui viviamo sfoggia una fisionomia sempre più effimera e incerta.
È ‘liquido’. «Una società può essere definita ‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.»
Sospinta dall’orrore della scadenza la società liquida deve modernizzarsi, o soccombere. E chi la abita deve correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione.
La posta in gioco di questa gara con il tempo è la salvezza (temporanea) dall’esclusione.

il mondo in cui viviamo sfoggia una fisionomia sempre più effimera e incerta. È ‘liquido’. “Una società può essere definita ‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.” Sospinta dall’orrore della scadenza la società liquida deve modernizzarsi, o soccombere. E chi la abita deve correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione.
La vita liquida è una vita precaria vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni maggiori che l’affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro. Zygmunt Bauman prosegue in questo nuovo saggio la sua riflessione sociologica sulla società “liquido-moderna” in cui viviamo e, dopo le analisi di Modernità liquida e Amore liquido, propone qui una serie di intuizioni su vari aspetti della vita nella società flessibile contemporanea.

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Bauman è uno scrittore prolifico dopo la “modernità liquida” “La società sotto assedio”e “ vita liquida”, continua la sua analisi ad illustrare come la “società”, ovvero il vocabolo fondante e l’oggetto di studio della sociologia, sia stato sostituito dalla “rete”: rete in cui si naviga senza mai abbandonarne la superficie e in cui è sempre più difficile immaginare un’agorà, un luogo pubblico in cui i cittadini tornino ad essere attori e non solo spettatori. Ma per essere cittadini occorre una città, uno Stato, un luogo a cui corrispondano dei poteri. I poteri invece sono sempre più invisibili, extraterritoriali, al di fuori di ogni controllo.
Ma i cittadini che sono coloro che vivono nella società, conducono una vita liquida.

Si devono adattare di volta in volta al nuovo involucro, tutto scorre in fretta e spesso non ci dà neanche il tempo di assaporare l’esperienza che stiamo vivendo.

Vivere è il primo dovere di dell’uomo, ma per non rimanere ai margini di una società che corre in fretta, si deve capire e, Bauman ci da una mano in questo, non è solo l’esperto a scrivere ma qui entra anche in gioco l’esperienza dell’uomo che a già vissuto 84 anni.

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